L’organo “Pantanella” dell’Orto è un esemplare unico della degenerazione filologica degli organi a canne nella seconda metà dell’ottocento italiano. L’aureo “positivo” italiano, campione di atticità e di misura apollinea, sia nella proporzioni sia nell’estetica sonora (citiamo il “Werlè” di S. Eustachio, simbiosi italo-germanica di alto profilo) viene ex-abrupto travolto dalla introduzione dei registri ad ancia (o “a lingua”) scaturiti dalla pretesa di imitare gli strumenti di orchestra (trombone, tromba, flicorni, violino e violoncello…) e di forzare le sonorità equilibrate dei registri ad anima (o “labiali”).
Questa degradazione si spiega con il favore della corrente e favorita musica operistica, la responsabile del calamitoso “belcantismo” che riuscì a pervertire e contaminare in primis il celebre Serassi, massimo esempio di tecnica trascendentale applicata al tripudiante pompierismo organologico, con la fatale introduzione della viola 4’ nei bassi, primo saggio di registro gambato o, appunto, violeggiante, con vistosa “dentatura” e freno armonico.
La questione organologica è ampia e riguarda non solo la composizione di musica nazionale o di musica liturgica o comunque applicata alle sacre funzioni (per es. la “polka” come pezzo di chiusura) ma il costume italiano-umbertino o meglio “sabaudo” musicale (la musica di J. S. Bach vietata perché “musica del nemico”), filosofico, morale, coloniale, essenzialmente xenofobo e sospettoso, abissalmente provinciale, anzi arrogante e vernacolare.
Il “Pantanella” dell’Orto però, con le sue neoplasie sonore, ci tramanda anche una schiettezza di intonazione che la colonna dei registri di tradizione rappresenta in grado molto elevato. Per questo motivo il programma offerto è incentrato sui classici (Frescobaldi, Zipoli…), con una incursione – nel secondo concerto – nel repertorio “operistico” più su deplorato (sinfonia di Padre Davide da Bergamo), tanto per dare un’idea del marasma inverosimile della fanfaronata organistica di fine ottocento, che sembra scritta in una appendice dell’Heautontimoroumenos di Terenzio.
E nessuno si aspetti che le “ancie” siano accordate.
G. A.
Madonna dell’Orto, in Trastevere – 2008